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Il piede

Se il cervello inventa e dirige la gestualità motoria, il piede (assieme a tutto l’arto inferiore) la esprime e la trasforma. Se questo fosse interdetto (come da una costrizione o da una patologia), l’energia inespressa si accumula in modo negativo e la psiche ne risente.

Tante volte pensiamo al piede come il faraone pensa agli schiavi: maleodoranti, brutti, sporchi, sudici e fastidiosi. Però senza il loro lavoro nessun successo o funzione sarebbe possibile. Bisogna superare i retaggi, dare le giuste attenzioni e raggiungere un livello di comprensione adeguato per mettere in equilibrio il sistema su cui tutto regge e che relaziona con molte parti a noi tutti care: portamento, sofferenza, rapporti, eutonia ecc… Il loro compito non è fare uno stupido silenzioso appoggio per esser dati per scontati, i piedi partecipano ad ogni passo della nostra vita, talvolta, ce ne accorgiamo quando non funzionano, anche in senso lato.

Tornando al faraone sappiamo poi che in guerra vince chi ha l’esercito più forte (fatto di schiavi) e meglio nutrito e meno logoro. E’ chiaro che avrà più successo e guiderà un sistema più funzionante il faraone che ha costruito più palazzi e strade (che poi sono sempre gli schiavi a farle). Allo stesso modo, se il piede ha condotto una vita con una ottima somministrazione di carichi e ottiene un abbondante sostegno muscolare senza lacerazione delle parti non contrattili, sarà più verosimilmente un piede in ordine.

Quando la muscolatura della gamba o del piede soffre e produce sintomi le domande che ha senso porsi sono: ”che tipo di giornata passa questa struttura? A cosa sta resistendo? A cosa ha ceduto? Cosa non vuole più fare”?

COMPITI

La complessità del piede si intuisce già dal fatto che è una struttura che comprende 28 ossa. Se pensiamo che un distretto molto grande, come quello della coscia ne accoglie solo uno (il femore) salta subito all’occhio la differenza. La verità è che, se la coscia ha pochi compiti e molto semplici da svolgere (come quello di trasferire i carichi in linea verticale) il piede ha molti compiti e molto articolati. E’ tutta del piede la responsabilità di “saggiare” il suolo in modo da verificane la consistenza e cedevolezza (ed eventualmente modificare la reattività della catena di sostegno in tempo reale); deve poi trasferire i carichi verticali e trasformarli in orizzontali; deve distribuirli in tre piani d’appoggio via via modificabili; deve produrre forza per le spinte nel timing adeguato ecc…

Un sistema tanto sofisticato quanto evoluto, si è sviluppato per permetterci strategie di funzione che solo la                   biomeccanica e la neuro-fisiologia possono spiegare.

BIOMECCANICA

In catena cinetica chiusa (CCC), ovvero con l’appoggio, e quindi il vincolo, a terra, il complesso peri-astragalico si comporta come trasmissione angolare conica ad assi non paralleli. I complessi movimenti tri-planari del piede, in catena cinetica chiusa, si associano a movimenti obbligati delle articolazioni sovra-segmentarie attraverso lo snodo cardanico della articolazione tibio-tarsica.

Alla fase di pronazione e rilassamento del piede, e quindi alla direzione acquisita della testa dell’astragalo verso l’interno, si assiste ad una flessione, adduzione e intra-rotazione della tibia, flessione del ginocchio, adduzione ed intra-rotazione del femore e rotazione interna, flessione e adduzione dell’anca. Ovviamente, tutto ciò, è vero anche all’inverso. Quindi, nella fase che segue il massimo vincolo mediale si assiste alla supinazione di tutto il complesso del piede seguito quindi di una significativa rotazione esterna della tibia che si porta anch’essa in abduzione per poi proseguire il movimento in una estensione relativa.

È intuitivo capire quanto poco basti a guastare questa armonica e complessa situazione e come sia facile in un tale contesto l’instaurarsi di una problematica che, con il tempo, finisce per innescarne altre a catena.

Durante il cammino il corpo si sposta seguendo un arco di circonferenza che ha centro sull’articolazione tibio-tarsica.

Nel cammino, le forze verticali che gravano sul piede possono raggiungere 2-3 volte il peso corporeo di un individuo. La fascia plantare e l’arco longitudinale mediale rappresentano gran parte del meccanismo di assorbimento degli urti del piede. In piedi sani, l’arco longitudinale mediale sale e scende durante il ciclo del passo: nella fase di stance si appiattisce (e immagazzina energia potenziale), durante la fase di toe-off, converte l’energia potenziale in energia cinetica.
Per consentire un notevole risparmio di energia eliminando i picchi verso il basso tra il susseguirsi degli archi, subentrano l’innalzamento del tallone e l’appoggio delle dita che ammortizzano il cambiamento repentino tra un arco e l’altro.

L’ESAME DEL PIEDE

Sono molti ed eterogenei i dati che si possono raccogliere nell’indagine del piede, più di qualsiasi altro distretto. L’osservazione dovrà sicuramente comprende la raccolta dati globale così come quella distrettuale, statica e poi dinamica. In tal senso quindi è importante chiedere al paziente degli affondi per valutare le capacità delle strutture a monte, e della distribuzione dei segmenti sia nella bipodalica che nella monopodalica. Un’altra cosa poi sarà esaminare il passo, l’impronta e, manualmente, la libertà delle singole articolazioni, lo scorrimento dei tendini e la disposizione delle ossa, anche per mezzo radiografico.

Assieme a tutto ciò il fisioterapista deve verificare la capacità di movimento dei muscoli della gamba, la loro forza e portare in evidenza le eventuali differenze. Inoltre, la pervietà articolare di ginocchio, anca e tratto lombare sono assolutamente in relazione con la funzionalità del piede, oggetto dell’esame. 

Impronta podalica. L’impronta di un piede sano presenta: 1) presenza di tutte le dita; 2) presenza dell’intero avampiede (dalla I alla V testa metatarsale); 3) presenza del mesopiede con ampiezza dell’istmo di circa un terzo dell’avampiede; 4) presenza del retropiede con regolare conformazione dell’appoggio calcaneare; 5) punto di massimo carico localizzato al centro di uno degli appoggi calcaneari.

Fasi del passo ed esame. Ricordiamo che il passo, dal punto di vista evolutivo, è uno schema piuttosto recente che ha sostituito l’andatura quadrupedica. Nessuno dei nostri simili poggia a terra il tallone e portare in carico un solo arto, considerando un pendolo inverso di 1,70mt di media, non è, biomeccanicamente, una funzione per niente semplice.

Un’altra cosa che dobbiamo considerare è che il passo non è un ordine che si dispone dal tronco fino al piede ma esattamente il contrario. Quando il piede prende contatto si costituisce una forma di rigidità che lo consolida al suolo per offrire alla caviglia un piano di appoggio solido sul quale poi, via via trovano stabilità e verticalità tutti i segmenti che vi si allineano sopra dalla gamba al ginocchio, coscia ed anca fino al baricentro.

Nello specifico il piede, durante il passo, trova contatto attraverso il tallone per mezzo di un vettore verticale, il carico si sposta poi lateralmente verso l’osso cuboide (andando ad assumere una forma supinata), per poi compiere un movimento a “Z rovesciata” che dirige il carico sullo scafoide attraverso una pronazione repentina che porta in blocco la struttura. A questo punto il tallone si eleva riportando il vettore in posizione verticale che trasla dallo scafoide al primo cuneiforme fino ad abbandonare il suolo con la punta del primo dito.

In tutti i piedi in cui questa sequenza è alterata si predispone una situazione che orienta verso la patologia. Capiamo bene che un tracciato vettoriale fisiologico è impensabile se si usano i tacchi, così come è impensabile in presenza di un’amputazione di una o più dita. Il fenomeno più problematico al giorno d’oggi però è il fatto che si riscontrano spesso gravi povertà esterocettive. I bambini ormai passano pochissime ore scalzi ed incontrano un terreno articolato e sconnesso quasi mai. Questo determina un impoverimento della capacità di “sentire”, di prendervi relazione in modo ottimale, di correggere le deviazioni di carico in tempo reale e di sviluppare una muscolatura intrinseca del piede adeguata. È un quadro, questo, per il quale poi il piede è costretto a portare più superficie al suolo (quindi non appoggia solo col tallone ma anche con l’interno del piede (piede piatto) e con impatti molto forti, questo a causa della scarsa capacità di gestire il carico da parte del piede che ha appena abbandonato il suolo. Inutile dire che sono piedi questi in cui la “Z rovesciata” è persa con grosse conseguenze su legamenti e capsule del piede e, poi, di caviglia, ginocchio, anca e schiena che vanno via via a logorarsi.

I fenomeni distorsivi, in questo modo diventano molto probabili. Ogni qualvolta il sistema neuro-fisiologico allerta la muscolatura in un timing successivo ai 4° di supinazione istantanea del piede, la possibilità di “salvarsi” da una distorsione si riduce drasticamente facendo appunto, comparire molti eventi lesivi.

Altri test funzionali. Tra i test più validi l’osservazione del passo è sicuramente fondamentale. Questa deve annotare dati rispetto la distribuzione dei segmenti (anche degli arti superiori e del tronco) attraverso i profili frontale e sagittale, possibilmente distinguendo anche la marcia ad occhi chiusi ed aperti.

Altrettanta rilevanza la si attribuisce all’esame della corsa (magari in slow motion e con dei marker come reperi), importante anche per chi non corre da vent’anni. È un esame che mette in evidenza dei dettagli altrimenti impossibili da individuare. Altri test dinamici fondamentali, come dicevamo, sono l’esame delle strategie e dell’accuratezza di affondo ma anche di salto monopodalico.

Tecniche radiografiche. Siamo abituati a pensare alle radiografie come un’indagine per verificare o meno la presenza di una frattura. Invece molte volte si usano anche per capire la disposizione e l’orientamento delle ossa tra loro. Questa, per il piede, è una praticamente sviluppata come in nessun altro distretto. Le proiezioni e le proposte degli autori sono veramente molte e ben standardizzate cosicché, il clinico ha ottime possibilità di orientarsi rispetto la storia e la morfologia del piede in esame. Possiamo quindi conoscere la divergenza tra i metatarsi, l’orientamento del calcagno rispetto al secondo raggio, il sostegno della testa dell’astragalo da parte del legamento o del muscolo tibiale posteriore; l’atteggiamento in varo o valgo; attraverso la comparsa o meno del cuboide in proiezione laterale si può conoscere l’elemento supinatore del piede; si possono determinare gli angoli della volta plantare interna ed esterna rispetto gli standard; si può osservare la pervietà del seno del tarso oppure tanti altri dettagli ben qualificati in questi anni di ricerca.

TERAPIA

I provvedimenti da intraprendere clinicamente verranno presi in esame nel capitolo delle patologie di seguito a seconda dei differenti contesti esposti.

In via generale si può dire che al piede vengono riservati degli interventi estremamente specifici, altri interventi, invece, li condivide con molti altri segmenti corporei.

In patologia il piede è raggiunto non di rado da problematiche di tipo riflesse. Ovvero, abbiamo dolori o disturbi della funzione al piede a causa di patologie a monte, anche molto distanti. E’ questo il caso della sofferenza del nervo sciatico che può portare ad evidente zoppia; oppure problematiche vascolari dell’arteria femorale o poplitea possono alterare il colore o la salute del piede; oppure uno strappo alla muscolatura del polpaccio si può rivelare con dolore urente sotto il calcagno.

Queste sono possibilità che vanno indagate in modo accurato, la verità però e che, nella maggior parte dei casi, i dolori ai piedi sono dovuti a problematiche dei piedi stessi. Anzi, molto spesso si riscontra che le sofferenze dei piedi producono, anche nel breve termine sofferenze ai segmenti superiori.

Sempre parlando, per il momento in modo generico e trasversale c’è un esercizio che ha grossi riscontri scientifici capace di migliorare la condizione e la salute di molte parti del piede e quindi di tutta la struttura in sé.

Esercizio terapeutico

 L’esercizio terapeutico in questione è lo SHORT FOOT EXERCISE, l’esercizio, col piede in appoggio o meno, di avvicinare le teste metatarsali al calcagno senza il coinvolgimento delle dita come ad aumentare le due volte longitudinali. E’ un tipico esercizio KISS (keep it simple stupid), ovvero uno di quegli esercizi così semplici che si possono fare in continuazione durante la giornata in tantissimi momenti morti (aspettando l’ascensore, in coda alla cassa, sulle scale mobili…). Ovviamente se il piede poggiasse sulla carta, si porterebbero delle evidenze molto utili al fine di ottenere feedback. Questa è una cosa che si può fare la sera, ma la verità è che è uno di quegli esercizi in cui il meglio è nemico del bene, si preferisce quindi farne molti dentro la calzatura ma ben distribuiti durante la giornata piuttosto che pochi ma perfetti con la carta da usare come feedback a piede scalzo.

Terapia manuale

Terapia manuale è sicuramente l’offerta terapeutica più adeguata per allentare la rigidità intrinseca del piede e per distendere le parti ritirate. Solo manualmente si possono recuperare la supinazione o la flessione dorsale persi a causa di un trauma o di una degenerazione progressiva.

La terapia fisica, quali LASER, TECAR, SIT ed ENF sono invece gli strumenti che hanno la precedenza se vogliamo essere efficaci nei confronti del dolore e dell’irritazione distrettuale del piede.

Discorso a parte va fatto per le onde d’urto che poco hanno da condividere con le altre terapie fisiche. Il loro effetto produce delle cavitazioni tali da indurre l’organismo a rimaneggiare biologicamente la parte inerte che risponde ormai male ai carichi o che soffre in modo perpetuo. È il caso della spina calcaneare, della fascite plantare, della metatarsalgia, del morbo di Hadlung e molte altre sofferenze soprattutto di interesse tendineo.

SUOLA BIOMECCANICA

È sicuramente uno strumento terapeutico estremamente specifico per il piede. Le proposte sono tantissime, troppe. Poche però hanno delle validazioni scientifiche adeguate ed anche le logiche con le quali si imposta il pensiero di base sono piuttosto distanti tra loro.
Sicuramente è importante considerare il fatto che il piede, e tutto l’arto inferiore, sono un compromesso costituito con una determinata anatomia per rispondere ora a delle funzioni monopodaliche molto differenti dal “disegno” originale. Per questo motivo il femore scende con un angolo di 18° che si rimedia al ginocchio riducendosi fino a soli 4°. Restano però, quindi, 4° di asse di differenza tra la verticale e l’orientamento della tibia. Questo determina una certa “caduta” della parte interna del meso-piede rimediata dal sostegno promosso dal muscolo tibiale posteriore e molte altre strutture inerti e di organizzazione muscolare intrinseca.

Detto ciò: se effettivamente le pavimentazioni, le calzature e il ridotto numero di passi dovessero incidere fortemente sull’attività del muscolo tibiale posteriore o di tutta la catena sospensoria che dovrebbe attivarsi per far lavorare il piede lungo un determinato asse, qual è una buona scelta? Fare esercizi per rendere adeguato il sostegno o rassegnarsi ad un supporto ortesico quale è il plantare?
La risposta la si trova sicuramente nelle variabili d’età, di preferenza, di attitudine e di onesta conduzione anche in relazione alle acquisizioni raccolte da altre abitudini. Tutto sommato l’uso degli occhiali o del body, per certi versi, sono degli equivalenti. Credo che rinunciare ad un degno supporto muscolare prima dei 10 anni di età sia assolutamente da bandire (bisogna fare di tutto per non rendere ovvio un calcaneo stop chirurgico). Viceversa però, in situazioni estremamente e patologicamente lasse il plantare nel bambino diventa indispensabile per non rovinare eccessivamente i tessuti (assieme al controllo ponderale). Nella vita ci si augura di poter conservare le funzioni più a lungo possibile. Bisogno però essere ben istruiti, conoscere quanto necessario di anatomia e di fisiologia.
Dall’altra parte, una persona in sovrappeso, senza alcuna attitudine all’esercizio, decondizionata e mediamente sedentaria sarà la persona con la massima indicazione ortesica. Un impiegato che fa meno di 2000 passi al giorno non è certo portatore di un piede bisognoso.
A dire il vero a fare la differenza non per forza sarà il numero di passi ma le ore in ortostatismo in cui l’attività muscolare è molto scarsa e ci si posa sui tessuti inerti. È da qui che nasce la buona scelta di molte persone, seppur allenate e mediamente leggere, di indossare un plantare, proprio per proteggere i tessuti legamentosi e le interfacce articolari durante le molte ore in piedi in modo non si logorino data l’impossibilità di una attività efficace da parte del muscolo tibiale posteriore durante l’intera giornata lavorativa.
Tutto un altro discorso va fatto poi per le persone sintomatiche o con deformazioni significative per le quali va fatto un bilanciamento dei “costi/benefici” ancora più accurato ed individuale.

PATOLOGIE

ALLUCE VALGO

Per alluce valgo si intende una deformità dell’alluce in valgismo accompagnata da un varismo del I metatarso, dalla lussazione dei sesamoidi e caratterizzata dalla comparsa di una esostosi mediale più o meno evidente. L’alluce valgo non è dovuto esclusivamente alla calzatura ma è naturale che la calzatura incongrua aggravi la sintomatologia in un piede con alluce valgo. Le cause, quindi, sono appunto da imputare al decondizionamento intrinseco ed estrinseco del piede, il pavimento piatto, le calzature strette davanti e alzate dietro, il cedimento su base ormonale per le donne in menopausa e i fattori predisponenti individuali.

Spesso il paziente lamenta dolore in corrispondenza dell’esostosi e in corrispondenza della pianta del piede per la comparsa di una metatarsalgia di fuga. Le tecniche preventive in medicina sono molte, le più importanti si legano alla cura dello schema del passo. L’operazione è riservata a situazioni ingravescenti e di lunga data. Esistono più di cento interventi correttivi per l’alluce valgo ma nessuno è indicato per tutti i tipi di valgismo.

Nella decisione di ogni intervento correttivo vanno considerati i seguenti fattori:

l’esostosi (ossia la sporgenza mediale spesso accompagnata da una borsite reattiva): l’angolo di valgismo metatarso-falangeo; l’angolo di varismo inter-metatarsale; la lussazione dei sesamoidi; l’incongruenza articolare metatarso-falangea; l’index plus-minus (Lunghezza del I metatarso rispetto gli altri metatarsi); eventuali segni di rigidità dell’alluce (artrosi); caratteristiche del piede (cavo- piatto-normale).

Gli interventi di correzione possono suddividersi (e associarsi tra loro) come segue:

interventi che agiscono solo sulle parti molli; interventi che agiscono sul primo metatarso; interventi che agiscono sulla falange prossimale.

DITO MARTELLO/DITO ARTIGLIO

Per dito a martello si intende un dito in cui l’articolazione metatarso-falangea è iper estesa mentre l’interfalangea prossimale (IFP) corrispondente è iper flessa. L’interfalangea distale (IFD), a seconda dei casi, si potrà presentare iper estesa (dito a collo di cigno) oppure normale. Il dito a martello può essere congenito oppure acquisito. In tal caso si trova spesso associato ad altre patologie del piede come l’alluce valgo.

Per dito ad artiglio si intende invece un dito in cui l’articolazione metatarso-falangea è iper estesa mentre l’interfalangea distale e l’interfalangea prossimale sono iper flesse.

La sintomatologia, in entrambi i casi, si caratterizza per la presenza di ipercheratosi dorsali, spesso molto dolenti, e plantari in corrispondenza della testa metatarsale entrambe dovute all’interfaccia con la calzatura. A volte, dorsalmente all’articolazione interfalangea, è possibile reperire una borsite molto dolente che rende difficoltosa la deambulazione a piede calzato.

La terapia è incruenta solo nelle prime fasi di riducibilità della deformità e consiste nell’uso di terapia manuale, auto-trattamento, ultrasuoni, ortesi digitali e calzature morbide. Spesso il trattamento è chirurgico e prevede una correzione della deformità mediante osteotomia della testa della falange interessata, regolarizzazione delle superfici articolari ed artrodesi delle falangi, mediante applicazioni di mezzi di sintesi (es: fili di Kirschner ) o artroplastiche delle stesse.

FASCITE PLANTARE

Con il termine di fascite plantare si intende una sindrome dolorosa del piede causata da una patologia dell’aponeurosi plantare a livello della sua inserzione prossimale sul calcagno. Il dolore dipende da una reazione, non sempre di carattere infiammatorio, della fascia che successivamente va incontro ad una reazione degenerativa della stessa associata ad ectasie vascolari molto simili a quelle che troviamo nella patologia del tendine. Correla molto con la corsa. Può essere determinata da abnormi trazioni sulla fascia plantare, come può accadere nel piede cavo o nel piede cavo-valgo, oppure può dipendere da ripetuti microtraumi cui è soggetta la fascia plantare in alcune discipline sportive, nel sovraccarico ponderale e con l’età. Quest’ultimo carattere determinativo si presenta per il fatto che c’è continuità di fibre anatomiche dal tendine d’Achille e la fascia plantare stessa che però, appunto, con l’età, piano piano perdono relazione.

Il fattore predisponente più significativo sembra essere la limitazione della flessione dorsale della caviglia, quindi un elemento che non correla con le posizioni statiche. Il paziente spesso rivela di aver cambiato lavoro o attività nell’ultimo mese. Quanto la fascite plantare si presenta bilaterale si associa a gotta, Lupus o spondilite anchilosante.

Si caratterizza per la comparsa di dolore localizzato in corrispondenza della regione plantare mediale, accentuato al mattino, a volte si attenua nella giornata e alterna periodi di benessere a periodi di acuzie della sintomatologia.

Nella maggioranza dei casi si ottiene una guarigione con trattamenti incruenti e consistenti in fisioterapia, terapia medica e terapia ortesica personalizzata (plantari). Le onde d’urto sono la terapia in assoluto con più probabilità di risolvere la situazione grazie al wash-out e la capacità di rigenerare il tessuto sofferente.

ALLUCE RIGIDO

L’alluce rigido è una patologia degenerativa della prima articolazione metatarso-falangea caratterizzata dalla progressiva perdita della motilità articolare dell’alluce. La riduzione della motilità dell’alluce si traduce, in particolar modo, nella riduzione della sua flessione dorsale con conseguenze più o meno gravi sul ciclo del passo e quindi sulla deambulazione. Il quadro clinico si caratterizza per la comparsa di una tumefazione dolente che, a differenza dell’alluce valgo, si sviluppa dorsalmente all’articolazione. I segni radiografici sono quelli tipici dell’artrosi.

Il trattamento conservativo va riservato ai casi iniziali oppure a quei casi che, per motivi di salute generale, presentano una controindicazione all’intervento. Generalmente tale trattamento consiste in modifiche della calzatura o nell’utilizzo di ortesi (plantari) personalizzate per permettere lo svolgimento del passo, generalmente si fa in modo che il carico non raggiunga l’articolazione sofferente ma sviluppo movimento, attraverso l’induzione del plantare circa 8 mm prima. Negli altri casi il trattamento è chirurgico. La scelta chirurgica deve mirare alla restituzione della flesso-estensione dell’alluce per rendere il più possibile fisiologico lo svolgimento del passo.

NEUROMA DI MORTON

Il neuroma di Morton è una comune causa di dolore al piede. Inizialmente descritto nel 1835 da Filippo Civinnini e successivamente da Lewis Durlacher nel 1845, fu definito, in modo più dettagliato, nel 1876 da Thomas George Morton. Generalmente la malattia di Morton è conseguenza di stimoli irritativi cronici che portano ad una degenerazione delle fibre nervose interdigitali; il nervo più comunemente interessato è il terzo ramo digitale comune del nervo plantare mediale, posto tra la terza e la quarta testa metatarsale. Il Neuroma di Morton colpisce prevalentemente il sesso femminile, in una età compresa tra i 25 ed i 50 anni. Il sintomo più frequente è costituito da dolore urente, riferito al 3° spazio intermetatarsale ed irradiato al 3° ed al 4° dito del piede. In alcuni casi può essere talmente violento da costringere il soggetto, durante la deambulazione, a fermarsi ed a sfilare la calzatura per massaggiarsi il piede. Il segno appena descritto viene detto “segno della vetrina”, il paziente infatti finge di osservare una vetrina per sfilarsi la calzatura. Il dolore dovuto alla presenza di un neuroma di Morton può essere esacerbato mediante l’esecuzione della manovra di Mulder. Tale manovra si effettua palpando lo spazio intermetatarsale e contemporaneamente comprimendo lateralmente le teste metatarsali.

Bisogna dire che il nervo interdigitale percorre lo spazio tra i metatarsi che si dispongono formando l’arco anteriore. Tale arco però in fisiologia, sotto carico, non conserva la sua sagoma ma, nella fase del passo, scompare. Il suo posto è preso quindi dall’allineamento di tutte le teste dei metatarsi e dei due sesamoidi sullo stesso piano orizzontale.

Il segno di Mulder è positivo quando, alla compressione laterale delle teste, si avverte un “click” doloroso. Il trattamento nelle forme più semplici e/o iniziali consiste nell’applicazione di ortesi personalizzate (plantari) che, compensando i difetti di appoggio del piede, possono ridurre gli stimoli irritativi sul nervo e quindi il dolore. L’uso di ortesi può essere naturalmente associato a cicli di fisioterapia, il LASER è una terapia fisica imprescindibile per questo tipo di sofferenza. In altri casi selezionati, un ciclo di infiltrazioni può essere risolutivo. Neuromi di grosse dimensioni o, neuromi resistenti al trattamento conservativo, richiedono l’asportazione.

SPINA CALCANEARE

Per spina calcaneare si intende una calcificazione della fascia plantare alla sua inserzione calcaneare. E’ molto frequente, ne soffrono soprattutto gli uomini dopo i quaranta anni, specie se portatori di piede piatto o piede cavo e gli sportivi. Il quadro clinico si caratterizza per la presenza di un dolore vivo riferito al centro del tallone, risvegliato dalla digitopressione. Le radiografie sono indispensabili: mostrano la presenza di uno sperone lungo alcuni millimetri che si è sviluppato al centro del tallone con la punta orientata in avanti verso le dita.

Non bisogna tuttavia farsi ingannare da questo aspetto, poiché la spina calcaneare non è altro che la manifestazione di un quadro molto più complesso. Il 20% infatti delle persone che presentano la spina calcaneare non lamenta alcun dolore e può convivere con questa anomalia senza mai riferire disturbi. Inoltre la gran parte dei pazienti che lamenta una talalgia da spina calcaneare, eseguendo una radiografia di entrambi i piedi, è portatrice di spina anche nel piede non dolente.

Questo avviene perchè la sintomatologia è la conseguenza di un problema biomeccanico che interessa la fascia plantare, una robusta struttura fibrosa tesa, come la corda di un arco, tra il tallone e le dita. Tale struttura protegge il piede dagli urti e assicura, con la sua tensione, la forma ad arco del piede. Se troppo tesa, come nei piedi cavi o molto piatti, o troppo sollecitata, in chi fa sport, deforma il suo punto di ancoraggio al tallone fino a formare lo sperone

Anche questo tipo di problematica giova enormemente dell’uso delle onde d’urto.

MORBO DI HAGLUND

Il morbo di Haglund è una patologia del retropiede che consiste in un’infiammazione dolorosa innescata da una prominenza ossea del calcagno. La patologia si sviluppa in maniera progressiva nel tempo e porta a una deformità ossea all’interno o all’esterno del tallone, che può interferire e limitare le capacità motorie di chi ne è affetto. Il morbo di Haglund tende a colpire più frequentemente soggetti in giovane età che praticano attività sportive. L’insorgenza della patologia può inoltre essere favorita da fattori genetici (forma del calcagno, piede cavo) o da altri fattori esterni (utilizzo di calzature inadeguate).

I principali sintomi del Morbo di Haglund sono i seguenti:

  • Prominenza della zona posteriore del calcagno
  • Infiammazione e arrossamento nella zona del calcagno
  • Gonfiore nella parte posteriore del tallone
  • Dolore localizzato
  • Borsite

TRATTAMENTO

Negli stadi iniziali si procede con il trattamento conservativo: la terapia prevede l’assunzione di antidolorifici e antiinfiammatori per via orale e topica, l’utilizzo di tallonette e di scarpe aperte posteriormente o con tomaia morbida per evitare il conflitto scarpa – sede di dolore, terapia fisica come TECAR e onde d’urto.

Spesso, essendo la causa meccanica, il trattamento conservativo non dà esiti positivi. In questi casi è possibile intervenire chirurgicamente con tecnica percutanea mininvasiva, artroscopica o aperta rimuovendo la sporgenza ossea del calcagno.

INTERVENTO CHIRURGICO E TEMPI DI RECUPERO

Constatata l’inefficacia dei trattamenti conservativi, la patologia va affrontata con la chirurgia. L’intervento di calcaneo-plastica (plastica del calcagno) consiste nella rimozione chirurgica della sporgenza ossea nella zona posteriore del calcagno.

PIEDE PIATTO NEL BAMBINO

La patologia del piede piatto (conosciuta anche come “sindrome pronatoria”) consiste in un abbassamento dell’arcata plantare interna e nei casi estremi può raggiungere il completo appiattimento. Il piede piatto nei bambini di età inferiore a 5-6 anni è una condizione perfettamente fisiologica. La conformazione plantare è destinata a cambiare nel corso dello sviluppo fino a raggiungere la forma definitiva verso i 10-12 anni.

SINTOMI

Il bambino lamenta solitamente dolore durante l’attività sportiva o dopo aver mantenuto a lungo una stazione eretta. In alcuni casi la sintomatologia algica (dolore) può essere assente o di lieve entità. Quando rivolgersi ad un ortopedico? Quando il bambino avverte dolore al piede senza una spiegazione (trauma, sforzo, ecc…) è necessario rivolgersi a un medico per effettuare opportuni controlli e formulare una diagnosi. Solitamente una valutazione specialistica per un piede piatto non è necessaria prima dei 6-8 anni.

TRATTAMENTO

Le strategie conservative sono due: l’uso del plantare e la rieducazione. Se la prima è una valida protezione ma rinunciataria in attesa della chirurgia la seconda, è ormai consolidato, è capace di rimediare almeno 8 situazioni su 10. È il classico caso della rieducazione pre-operatoria che diventa NON-OPERATORIA. D’altra parte dal momento in cui la maggior parte delle problematiche si legano al difetto di funzione del tibiale posteriore è sufficiente riappropriarsi della sua funzione e del relativo controllo per fare ordine in un piede disarmonico. È piuttosto impegnativo, in termini di esercizi quotidiano ma offre soluzioni ottime e stabili.

INTERVENTO CHIRURGICO E TEMPI DI RECUPERO

Se il trattamento conservativo non offre gli esiti attesi si valuta la soluzione chirurgica. Intervenendo in maniera precoce, tra i 10 e i 14 anni, è possibile correggere l’alterazione attraverso un intervento di chirurgia mininvasiva. Questo permette l’introduzione per via percutanea all’interno del seno del tarso di un piccolo spaziatore (endortesi) attraverso un forellino della cute. L’intervento, eseguito in regime di Day Hospital, risulta molto semplice: in anestesia locale si esegue una piccola incisione cutanea (2 cm) e con l’ausilio di un apposito strumentario si posiziona l’endortesi. La durata complessiva dell’intervento è 10-15 minuti. Successivamente viene applicato un bendaggio elastico fino alla rimozione dei punti (a circa 10-15 giorni). Il piede in seguito verrà fasciato per circa una decina di giorni.

Il bambino può deambulare liberamente già dal giorno dopo e tornerà gradualmente a correre dopo circa 40 giorni.

Oggigiorno è accertato che l’’80% dei bambini portatori di una sindrome di piattismo hanno gli strumenti per ripristinare l’allineamento attraverso l’addestramento alla correzione dell’ortostatismo, al rinforzo del muscolo tibiale posteriore e ad alcune correzioni delle strategie dello schema d’appoggio (sostanzialmente con il bilanciamento tra supinatori e pronatori).

MORBO DI LEDDERHOSE

Il morbo di Ledderhose, o Fibromatosi Plantare, è una patologia rara che colpisce la fascia plantare. Si può associare ad un disordine più complesso, la cui localizzazione più conosciuta, nota come Morbo di Dupuytren, è rappresentata dall’aponeurosi palmare.

Il Morbo di Ledderhose può essere asintomatico, spesso però il paziente avverte la presenza di una massa in corrispondenza della regione plantare colpita associata alla difficoltà di calzare le scarpe ed alla presenza di dolore durante la stazione eretta. Tali sintomi si associano alla formazione di un cordone fibroso o di uno o più noduli in regione plantare in corrispondenza della fascia, specie nella sua porzione mediale.

Di rado la Fibromatosi Plantare ha una crescita invasiva e conduce a gravi deformità in contrazione come è spesso evidenziabile nel Morbo di Dupuytren.

In una fase iniziale la terapia può essere conservativa e comprendere l’uso di farmaci, di ortesi personalizzate e di fisioterapia. Nei casi di persistente dolore e di fallimento della terapia conservativa si può intervenire chirurgicamente. E’ importante sottolineare che le recidive, dopo l’escissione locale del “tumore”, sono frequenti e, in base allo stadio della malattia, sarebbe più indicata una fascectomia subtotale ad ampi margini. Non va dimenticato che le complicanze locali, come la necrosi cutanea o la formazione di una fastidiosa cicatrice, non sono rare.

FRATTURA DA STRESS

Per frattura da stress, conosciuta anche come frattura della recluta o frattura da marcia, si intende una soluzione di continuo di un segmento osseo dovuta ad una anomala e cronica trasmissione del carico sul segmento stesso. Nel piede le più comuni fratture da stress interessano le ossa metatarsali, in particolare il 2° ed il 3° metatarso.  Sono frequenti nello sportivo e sembrerebbero maggiormente interessati sport quali la corsa, il salto, la ginnastica e la danza.

Il quadro clinico si caratterizza per la comparsa di dolore ed edema del piede, in assenza di un evento traumatico ben definito. L’esame radiografico è solitamente negativo. Risulta positivo solo dopo alcune settimane dall’esordio della sintomatologia, pertanto non permette di fare diagnosi in fase acuta. La Risonanza Magnetica invece rappresenta l’esame d’eccellenza per confermare la diagnosi di frattura da stress.

La terapia è sostanzialmente conservativa e consiste nel riposo e nell’uso di calzature od ortesi personalizzate. Da indagare, successivamente, i valori di vitamina D, disturbi di origine osteoporotica o comportamenti e segni che possano ricondurre all’imitazione dell’osteoporosi.

METATARSALGIA

Con il termine metatarsalgia si intende una sindrome dolorosa acuta o cronica localizzata in corrispondenza di una o più articolazioni metatarso-falangee e provocata dalla compromissione, meccanica e non, di tutte le strutture anatomiche che interagiscono con l’articolazione (osso, cartilagine articolare, capsula,legamenti e tendini). Si può osservare isolata oppure in associazione ad altre affezioni del piede tra cui l’alluce valgo, l’alluce rigido e le dita a martello. Ad eccezione delle metatarsalgie secondarie (le reumatoidi, le post-traumatiche ecc…) le metatarsalgie primarie, le più comuni, dipendono da uno squilibrio cronico primario, funzionale e/o strutturale, nella distribuzione dei carichi tra le teste metatarsali e le dita.

Nella maggioranza dei casi, qualunque ne sia la causa, il quadro clinico si caratterizza per la comparsa di dolore riferito alla pianta del piede e la presenza di callosità plantari in corrispondenza delle teste metatarsali sovraccaricate. La terapia consiste nel trattamento della patologia sistemica, se presente, e almeno nei casi iniziali o inoperabili, nel riequilibrio dei carichi mediante l’uso di calzature appropriate e di ortesi personalizzate (plantari). In questo caso, più di qualunque altro, il bilanciamento delle forze muscolari distali, quindi provenienti dalla gamba, con quelle prossimali, ovvero del piede stesso, porta alla remissione dei sintomi e rimedia ai fattori predisponenti di quello che altro non è che un fenomeno di forte squilibrio.

SINDROME DEL TUNNEL TARSALE

Con il termine di sindrome del tunnel tarsale si intende una neuropatia da intrappolamento del nervo tibiale posteriore nel suo decorso nel canale osteofibroso chiamato appunto tunnel tarsale. E’ facile comprendere come qualsiasi processo patologico che interessi le strutture fibrose, ossee del tunnel tarsale od il nervo tibiale stesso possa determinare l’insorgenza della sindrome. In molti casi, inoltre, la presenza di un marcato valgismo del calcagno è responsabile di una distrazione del nervo e di conseguenza della neuropatia. Il corrispettivo dell’arto superiore ovviamente è la sindrome del tunnel carpale che presenta un quadro estremamente analogo.
Spesso la sintomatologia non è precisa, il dolore riferito dal paziente è urente e si irradia alla faccia plantare mediale o più raramente medialmente alla gamba. In alcuni casi il dolore è tipicamente notturno e viene alleviato dalla deambulazione, in altri casi si presenta durante l’attività fisica e migliora a riposo. La diagnosi necessita di un esame radiografico ed elettrodiagnostico, un esame RMN può essere utile nel caso in cui si sospetti una lesione di tessuti molli occupante il tunnel tarsale (ad esempio un lipoma) oppure l’eventualità di alterazioni patologiche del nervo o dei tendini circostanti.

Sono molto probabili problematiche associate di origine lombare e sciatico che mettono il nervo in una condizione di pre-sofferenza. Riguardo al trattamento è proprio il nesso con la problematica a molte che orienta il progetto terapeutico. Un tunnel perfetto continuerà a disturbare se le condizioni del nervo, considerato nella sua interezza, non si ripristinano.

PIEDE CAVO - VALGO

Il piede cavo valgo è una entità clinica particolare. Apparentemente ha l’aspetto di un piede piatto, per la marcata valgizzazione del calcagno, mentre all’esame podoscopico mostra una impronta tipica del piede cavo.

Sembrerebbe rappresentare circa 1/3 dei piedi valghi evolutivi dell’infanzia con una incidenza maggiore nel sesso femminile. E’ spesso associato alla presenza di un osso scafoideo accessorio, alla retrazione del tendine d’Achille e ad uno strabismo rotuleo. Basandoci sull’impronta rilevabile al podoscopio se ne possono definire tre gradi, dal I al III grado, considerando il terzo grado la forma più grave.

Allo stato odierno, nonostante in merito ci siano parecchi pareri discordanti, almeno nelle prime fasi e nelle forme meno accentuate, si preferisce utilizzare un plantare correttivo. Nelle forme sintomatiche e funzionali, in cui il dolore non è l’unico elemento decisionale ma sono fondamentali i risultati di un attento esame clinico e radiografiche, può essere indicato l’intervento chirurgico. L’intervento che viene oggi impiegato è quello dell’artrorisi astragalica mediante l’applicazione di una endortesi. Esistono endortesi extra-senotarsiche ed endo-senotarsiche.

Al di là delle possibilità chirurgiche, che si rivolgono ad una popolazione che abbia raggiunto un’età di 8-12 anni, l’addestramento ad uno schema del passo maturo, l’uso adeguato della muscolatura del piede e delle buone esperienze riabilitative, ad oggi, sono le soluzioni terapeutiche che hanno la precedenza.

CONCLUSIONI

Esattamente come la mano ed il viso, anche il piede è un distretto, per così dire, “terminale”. Si intende con ciò evidenziare il fatto che una sofferenza al gomito può usufruire degli eventuali compensi di strutture precedenti e successive, rispettivamente spalla e polso, mentre le parti terminali hanno a disposizione una scarsissima possibilità di compensare deviazioni e retrazioni deformanti evidenziandosi, in questo modo, con l’alterazione di strutture sottili e deviabili come le dita o le parti del piede stesso.  
Diventa quindi essenziale nelle situazioni croniche, e con grado di alterazione elevato, prendere in          considerazione anche i segmenti prossimali; aspetto spesso trascurato sia per lacune del clinico che per scarsa compliance del paziente. Ecco che un adeguato programma rieducativo che includa anche esercizi di rinforzo della muscolatura di ginocchio e soprattutto dell’anca può riuscire a promuovere dei risultati stabili e duraturi.

L’altra peculiarità del piede, che abbiamo avuto modo di condividere con la presente dispensa, è quanto significativa sia la situazione legata al carico ed alle sue complesse torsioni in occasione del trasferimento mono-podalico.

Il fatto rassicurante è che, soffrendo il piede di patologie molto comuni, sono state presto codificate e strutturati quindi tutta una serie di interventi che hanno avuto modo di perfezionarsi in questi decenni fino a raggiungere i risultati soddisfacenti che abbiamo a disposizione oggi.          

Dott. Nicola Spessotto
Dott. Claudio Mulè

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